UNIVERSITA' CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO - Facoltà di Giurisprudenza - Corso di Laurea in Giurisprudenza
II. IV. LE PROPOSTE DI MODIFICA DEL SISTEMA PENALE DEI CULTI.
Nel corso degli anni, dopo la promulgazione della Costituzione, si sono susseguite varie proposte di modifica della tutela penale dei culti, ma gli innumerevoli progetti di riforma si sono sempre dimostrati incapaci di addivenire ad una risoluzione del problema della tutela penale del fenomeno religioso [1]. Il primo importante tentativo di riformare il codice Rocco [2] può farsi risalire ai lavori elaborati dal comitato esecutivo della commissione ministeriale a tale scopo istituita presentati alle Camere, per la parte generale nel luglio 1949, e per quella speciale, nel settembre 1950 [3]. Se la relativa relazione dichiara espressamente [4] che il testo, in relazione alla tutela penale dei culti, rappresenta un ritorno alla originaria impostazione del Codice Zanardelli, non meno esplicito è il tenore letterale del progetto stesso, che opera numerosi rinvii specifici alla codificazione del 1889. Non si parla più di << delitti contro il sentimento religioso >>, ma di << delitti contro la libertà religiosa >> ( Capo IV ), compresi nel Titolo II << Dei delitti contro le libertà costituzionali >>, del libro II << Dei delitti in specie >> del codice penale. Il riconoscimento operato dalla Costituzione del principio di uguaglianza davanti alla legge di tutte le confessioni religiose fa venir meno il contenuto previsto dall’art. 402 c.p., e l’opportunità di punire il vilipendio della religione cattolica in relazione ai suoi contenuti etici e dogmatici. Importante innovazione è rappresentata dall’art. 321 che tutela i cittadini contro le offese alla libera professione di una fede religiosa [5]: non è più protetto il culto cattolico e, in misura minore i c.d. culti ammessi, ma si giunge a proteggere tutte le religioni professate nello Stato. Il contenuto sostanziale ex. art. 403-406 c.p. è ripreso dagli artt. 322-324, con la sola differenza che le espressioni << religione dello Stato >>, << ministro del culto cattolico >>, << culto cattolico >> sono sostituite con le diciture << altre fede religiose >> e << ministro del culto >> [6]. Il fatto che gli stessi redattori del progetto abbiamo dichiarato di essersi ispirati ai principi di uguaglianza e libertà contenuti nel Codice Zanardelli rende ancora più evidente la contraddizioni contenute nel dispositivo dell’art. 325 [7], per il quale è previsto un aggravamento della pena se il fatto lede la religione cattolica, e nell’art. 326 che esclude la tutela penale sia verso atti di culto contrari al buon costume che culti religiosi contrari al buon costume << discriminando le religioni in virtù di un parametro non accolto dalla Costituzione >> [8]; stessa critica può essere mossa nei confronti della bestemmia disciplinata dall’art. 693 del Titolo V << Delle contravvenzioni concernenti la moralità pubblica e il buon costume >>, del Libro III << Delle contravvenzioni in specie >> [9]. La disposizione, sebbene abbia il merito di chiarire che la contravvenzione sussiste anche in presenza di un fatto commesso con solo scritti e disegni, fissa un minimo edittale più elevato se il fatto è commesso nei confronti della religione cattolica. Queste contraddizioni vennero fatte notare anche dal Consiglio federale delle chiese evangeliche d’Italia che richiese gli opportuni emendamenti al fine di << armonizzare il testo delle progettare disposizioni con i principi contenuti negli artt. 3, 8 e 19 Cost. >> [10], e sottolinea come gli artt. 325 e 326 << riportino la tutela penale dei culti allo stesso ordine di discriminazione confessionale che ha inficiato il codice penale del 1930, ed in linea pratica pressoché allo stesso grado di disuguaglianza di trattamento giuridico tra i diversi culti dinanzi alla legge penale >> [11]; particolari critiche vennero indirizzate alla previsione normativa contenuta nell’art. 326 considerata una << disposizione ispirata a criteri di polizia ecclesiastica autoconfessionale nei riguardi dei culti dal cattolico-romano oggi professati in Italia o che eventualmente potrebbero esserlo in un domani >> [12]. Di minor rilievo è il << Progetto preliminare di modificazione del codice penale >> del 1956 [13] redatto da una commissione ministeriale voluta dal Ministro di Grazia e Giustizia Aldo Moro con lo scopo di creare una riforma parziale del codice penale, che tenesse conto dei risultati raggiunti dai compilatori del 1950 e delle nuove esigenze di riforma nel frattempo manifestatesi. Il progetto che non venne nemmeno presentato alle Camere, rappresenta un punto di regresso rispetto ai risultati raggiunti con il progetto del 1950. In questo testo non solo si mantiene il vilipendio della religione cattolica inteso come ideologia, ma se ne estende la previsione anche agli culti, con la consueta differenze circa la pena; inoltre, l’art. 406 bis punisce vari atti che turbano la libera professione di una fede religiosa, in quanto prevede che << chiunque usa violenza o minaccia per impedire ad altri di professare una fede religiosa, di farne propaganda o di esercitarne in pubblico o in privato gli atti di culto, ovvero chi usa violenza o minaccia a causa della fede religiosa professata, della propaganda fattane e degli atti di culto esercitati, è punito con la reclusione fino a sei anni. Con la stessa pena è punito chi usa violenza o minaccia per costringere altri a compiere un atto in contrasto con la fede religiosa da lui professata >>. In dottrina si è rilevato che, sebbene la norma possa in astratto considerarsi legittima in quanto applicazione dell’art. 19 Cost., la misura sanzionatoria risulta essere eccessiva, e << possibile cause di gravi inconvenienti in sede di applicazione >> [14]. Anche quest’ultimo lavoro rappresenta un tentativo di rendere maggiormente aderente le norme codicistiche al dettato costituzionale, ma il tutto si risolve in una eliminazione delle discordanze più evidenti, lasciando una tutela del fenomeno religioso distinta fra religione cattolica e altri culti, sempre sulla considerazione che ciò sarebbe consentito dalla stessa Costituzione.
Il 20 dicembre 1962 viene presentata alla presidenza della Camera una proposta di disegno legge, la n. 4388 ( << Integrazione della tutela penale delle minoranze etniche e religiose >> ), che, rispetto al progetto Moro, rappresenta, un piccolo sviluppo sotto il profilo dell’uguaglianza fra i culti. Particolare di rilievo è l’interessamento che l’Unione delle comunità israelitiche italiane e il Consiglio federale delle Chiese evangeliche ebbero per la redazione di questo testo. La proposta prevede due nuove ipotesi di reato ex. art. 294 bis [15] << Violazione di altri diritti costituzionale >>, in riferimento all’art. 3 Cost., ed ex. art. 294 ter [16]<< Vilipendio della collettività per motivi discriminatori inibiti dalla Costituzione >>; se da una parte i redattori manifestano la volontà di far propri i principi che animarono il Codice Zanardelli in materia di tutela del fenomeno religioso, di fatto si limitano a modificare il contenuto dell’art. 406 c.p. prevedendo solo una comune punibilità per tutti i delitti previsti dal Capo I [17]; inoltre si decide per estendere la bestemmia a tutte le confessioni religiose professate nello Stato [18].
Il 19 novembre 1968 viene comunicato alla presidenza del Senato il disegno legge n. 351 << Riforma del Codice penale >> [19] il quale, secondo le intenzioni del proponenti, avrebbe modificato tutte quelle norme del codice penale relative alla tutela penale dei culti, necessarie per adeguarle ai principi della Costituzione e alla mutata coscienza giuridica italiana [20]. La relazione che accompagna la proposta non solo sottolinea l’influenza delle proposte formulare dalle Unione delle comunità israelitiche italiane, sotto il profilo della parificazione della tutela penale, ma riproduce per intero il documento conclusivo della Sesta sessione di formazione ecumenica che si tenne a Camaldoni dal 5 al 12 agosto 1968 [21]. Tale documento viene preso come dimostrazione dei mutamenti avvenuto negli stessi ambienti religiosi, in forza dei quali si riconosce nella diversa << protezione accordata dalla legge alle varie confessioni religiose una discriminazione non giustificata dal numero più o meno grande degli appartenenti alle confessioni stesse >>; in conseguenza di quanto previsto dall’art. 8 Cost. << le confessioni religiose non solo devono essere in grado, tutte in ugual misura, di esercitare senza interferenze il loro culto >>, ma dovrebbero essere tutelate dallo Stato << nello stesso identico modo da ogni genere di possibili offese, come il vilipendio semplice, il vilipendio di persone e di cose o il turbamento di funzioni religiose >>; mentre nei riguardi dell’art. 19 Cost., a cui spesso si affida chi sostiene l’incostituzionalità di una tutela della religione contro comportamenti vilipendiosi, si afferma che è proprio in tale norma << che si riconosce a tutti il diritto di professare la propria fede religiosa >>, estendendo ai fedeli do ogni religione << la stessa protezione da ogni turbamento della loro coscienza causato da offese alla fede da essi professati >>. La proposta presentata dal deputato Basso alla presidenza della Camera il 23 febbraio 1972 [22] rappresenta un primo tentativo di accogliere le istanze di riforma provenienti dalla giurisprudenza: si opera una nuova formulazione degli artt. 7 [23], 8 [24] e 19 [25] Cost., e proprio in quest’ultimo articolo si aggiunge un nuovo comma in conseguenza del quale << la discussione sulle materie religiose è pienamente libera >>. La previsione è una risposta a tutte quelle numerose sentenza del giudice ordinario che interpretano l’art. 402 c.p. come un limite alla libertà di manifestare il proprio pensiero nella materia considerata; in tal modo si chiarisce che anche il fenomeno religioso può essere oggetto di critica nelle forme pubbliche ex. art 21 Cost. E’ del 1973 una dei più decisi tentativi di riforma della materia de qua; l’occasione è offerta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 14/1973 [26], con la quale si invita il legislatore ad operare una revisione dell’art. 724 c.p. al fine di attuare pienamente i principi della Costituzione in materia di libertà religiosa. Per non ritardare ulteriormente la soluzione di una questione che comincia ad essere sentita come non più accettabile anche in ambiente parlamentare, si decide di redigere un testo normativo riferito solo alla tutela del sentimento religioso, senza dover affrontare altre questioni e problemi di altri istituti di parte speciale. Il 21 maggio 1973 il Ministro di grazia e giustizia Gonella presenta alla presidenza del Senato il disegno legge n. 1141 concernente << Modiche al codice penale in materia di tutela del sentimento religioso >> [27], i cui tratti salienti sono la previsione di uno stesso trattamento normativo fra religione cattolica e culti ammessi, sia quoad poenam che quoad delicta ( raggiunto attraverso l’eliminazione dell’art. 406 c.p. ) e nell’applicazione degli artt. 402 e 724 c.p. anche a favore delle altre religioni professate nello Stato [28]. Il disegno legge è accolto con generale diffidenza da parte della dottrina, per la quale saremmo in presenza di un mero ossequio formale alla volontà della Consulta; infatti, si sarebbero mantenute sostanzialmente in vigore le precedenti figure di reato << senza affrontare il problema del raccordo e della compatibilità con l’art. 21 Cost. delle norme penali in oggetto >> [29], oltre a non curarsi << delle odierne tendenze criminologiche sempre più ispirate alla depenalizzazione, in genere e, in particolare, alla liberalizzazione del dissenso e alla riduzione e concentrazione delle varie figure di reato >> [30]. La considerazione che le norme penali che puniscono certe forme di manifestazione del pensiero si possano porre in conflitto con il dettato costituzionale ex. art. 21 determina che i primi anni settanta sono caratterizzati da un sentimento dottrinale di avversione verso le norme del Codice Rocco che prevedono ipotesi di vilipendio. Per quanto riguarda il vilipendio relativo alla religione si ritiene che esso << si presti ad abusi e ad interpretazioni estremamente pericolose per l’esercizio della libertà, senza che ciò sia indispensabile per colpire eccessi non giustificabili >>[31], ponendo in contrasto con un principio giuridico fondamentale quale è la certezza del diritto. Si afferma la possibilità di giungere ad una eliminazione di ogni reato di vilipendio proprio attraverso la rimozione del vilipendio religioso, a cui si potrebbe giungere una volta garantita la parificazione del trattamento penale dei culti; mentre i cambiamenti avvenuti fra lo Stato e gli appartenenti alle varie religioni induce a credere che << siano gli stessi soggetti che lo Stato intende proteggere che cominciano a ribellarsi a questa eccessiva tutela, perché nessuna religione in regime di libertà costituzionale può tollerare che organo dello Stato si mettano a valutare i suoi dogmi, le sue idee, le sue tradizioni >> [32], proprio in quanto << gli organo dello Stato ne ignorano i veri motivi di fondo, i veri significati >> [33].
In relazione ad un organico tentativo di riforma bisogna attendere il decreto 8 febbraio 1988, per mezzo del quale il ministro Vassalli istituisce una commissione [34] per elaborare una bozza di disegno legge delega al Governo, con cui, mediante la fissazione di principi direttivi, si cerca di riformare la complessiva struttura del codice. Per quanto riguarda la materia de qua il Consiglio dei Ministri approva, il 13 settembre 1990, un disegno legge: << Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui “culti ammessi” >>. Fra le varie finalità di questo intervento legislativo una componente della commissione governativa di studio sottolinea quello di indicare, e armonizzare con i principi costituzionali, le libertà fondamentali riconosciute a tutte le confessioni religione presenti in Italia; prevedere una eventuale disciplina sulla tutela penale del sentimento religioso; indicare le procedure da seguire per avviare le trattative ai fini delle stipulazioni di Intese ex. art. 8 Cost. Il titolo IV prevede quanto segue:
<< Art. 36 – 1. Sono abrogati gli articoli 402, 403, 404, 405, 406. 2. Il capo I, titolo IV del codice penale è sostituito dalle seguenti disposizioni: Capo I Dei reati contro la libertà di coscienza e di religione Art. 402 – Offesa alla libera professione di una fede religiosa o credenza .
Art. 403 – Ingiuria e diffamazione per motivi religiosi.
Art. 404 – Danneggiamento di cose oggetto di culto.
<< Art. 37 – E’ abrogato l’articolo 724 del codice penale ed è sostituito dal seguente: Art. 724 – Manifestazioni offensive verso la religione o i defunti.
<< Art. 38 – All’articolo 61, n. 10 del codice penale, l’espressione << culto ammesso nello Stato >> è sostituita dalla seguente: << confessione religiosa >>.
Il progetto, pur rimanendo senza seguito, reca elementi di novità in relazione alla tutela penale della libertà religiosa. E’ proposta, senza distinzione fra le varie confessioni professate nello Stato, il reato di offesa alla libera professione di una fede religiosa, l’ingiuria e la diffamazione per motivi religiosi, il danneggiamento di cose oggetto di culto e, a mero titolo contravvenzionale, la punibilità delle manifestazione offensive verso la religione o i defunti. Nel disegno è assente ogni riferimento alla religione dello Stato o ai culti ammessi, mentre è avanzato il suggerimento di sostituire in tutto il codice tali espressioni con altre quali << confessione >>, << fede >>, << credenza religiosa >>. Il Titolo IV cerca di conciliare quanto è stato precedentemente stabilito nelle intese con la Tavola valdese, con l’Assemblea di Dio in Italia e con l’Unione delle comunità ebraiche, con risultati che in dottrina appaiono soddisfacenti, << un ragionevole punto di equilibrio, eventualmente migliorabile in sede parlamentale >> [35], sebbene c’è chi vi riconosca una sorta di << eccesso di garantismo >> [36]che male si concilia con uno Stato che voglia mantenersi effettivamente laico. Si osserva come la rilevante tutela accordata alla libertà di ogni confessione o gruppo religioso possa essere di fatto esercitata anche da sette o gruppi di equivoca natura o da movimenti religiosi di tipo fondamentalistico. Una certa preoccupazione, non solo ai fini di una tutela della laicità dello Stato ma pure nei confronti della libertà di espressione, sollevano la proposte che rendono punibile il vilipendio verso << le divinità, le persone venerate, i simboli e gli oggetti di culto >> di tutte le religione professate nello Stato ( art. 724 ); quelle che danno origine ad un nuovo delitto consistente nell’impedire la professione, la propaganda e il culto di una religione ( art. 402 ); e quelle che prevedono il nuovo reato di << ingiuria e diffamazione per motivi religiosi >> ( art. 403 ). Unica nota di squilibrio è rappresentata dalla norma che punisce le manifestazioni oltraggiose verso la religione o i defunti: tale fattispecie ( che non pone distinzione fra confessioni riconosciute o meno ) sembra configurare una tutela penale specifica del sentimento religioso, che però è stata esclusa dalle Intese con la Tavola valdese e con l’Assemblea di Dio in Italia; qualche problema potrebbe sorgere per applicare questa norma a tali confessioni, anche perché la perseguibilità, a differenza di quanto previsto per << le offese alla libera professione di una fede >>, non è a querela di parte. La normativa sembra riprendere l’impostazione del codice Zanardelli non solo perché l’oggetto giuridico tutelato è la libertà religiosa del credente, ma pure in quanto l’art. 402 prevede la perseguibilità a sola querela di parte. Da notare è il generale aumento delle sanzioni, per cui si giunge ad infliggere la pena detentiva dell’arresto, fino ad un mese, se l’offesa verso la religione, disciplinata come contravvenzione dal novellato art. 724 c.p., avviene in luogo destinato al culto. Nel 1992, la commissione nominata dal Ministro Vassalli, conclude la redazione di uno schema di delega legislativa ( il c.d. progetto Pagliaro ) [37]. Nella relazione si afferma che i reati contro la religione sono stati disciplinati nel solo modo possibile per uno Stato liberal-democratico, vale a dire garantendo la << tutela di tutti i cittadini a professare una fede religiosa e a celebrarne i culti, o anche a non professare alcuna religione, purché l’esercizio di tali libertà non rechi offesa alla libertà altrui >> [38]. Vengono punite anche le offese al sentimento religioso, la cui tutela, si dichiara essere << ancora più importante della protezione del sentimento dell’onore >>. I relatori del progetto sottolineano il profilo di << socialità >> che accompagna il fenomeno religioso limitando sia i reati di interruzione o turbativa di pratiche religiose che di offesa al sentimento religioso, ai soli illeciti commessi in luogo destinato al culto oppure in luogo pubblico o aperto al pubblico,secondo quanto previsto dal Titolo II, del libro II << Dei reati contro i rapporti civili, sociali ed economici >>, sotto la rubrica << Dei reati contro la libertà religiosa >>. L’art. 88, comma primo, n. 1 disciplina il delitto di << interruzione o turbativa di pratiche religiose >>, consistente nel fatto di chi << in luogo destinato al culto oppure in luogo pubblico o aperto al pubblico, arbitrariamente impedisce o turba l’esercizio di funzioni o pratiche religiose >>; mentre al successivo n. 2 viene punito l’offesa al sentimento religioso, cioè il comportamento di chi offende << in luogo destinato al culto oppure in luogo pubblico o aperto al pubblico, entità spirituali, persone o cose ritenute sacre o costituenti oggetto di culto nell’ambito di una fede religiosa ovvero ministri di essa o cose destinate all’esercizio del culto >>. Nel corso degli anni novanta si è aperto un dibattito a livello politico e dottrinale circa la scelta stessa di delegare al Governo la possibilità di riformare il Codice penale. Il 2 agosto 1995 viene presentato alla presidenza del Senato il progetto di iniziativa parlamentare n. 2038, per la riforma del Titolo primo del Codice penale, il quale abbandona la strada del disegno di legge delega, a favore del procedimento legislativo ordinario, dimostrando in tal modo la diversità di soluzioni esistenti. Fra i vari motivi per cui si ritiene opportuno percorrere la strada della legge formale particolare importanza è attribuita al fatto che la materia considerata incide sui diritti di libertà dei cittadini, e che così facendo si giunge ad un testo completo di tutti i dettagli senza fermarsi , come avviene con un disegno di legge delega, e semplici affermazioni di principio. Lo scioglimento anticipato delle Camere non permette a questo testo di giungere a risultati significativi, mentre in dottrina si è sviluppato l’unanime parere che una reale modifica delle norme in materia religiosa, sia che venga attuata mediante una legge ordinaria o una legge delega, appare ben lontana dal realizzarsi. Il decreto interministeriale 23 novembre 2001, emesso all’inizio della XIV legislatura, crea una commissione ministeriale di studio ( la c.d. commissione Nordio ) con il mandato di riformare il codice Rocco, attraverso l’emanazione di uno schema di legge delega. Per quanto riguarda la tutela del sentimento religioso, le speranze che vengano recepiti gli ordinamenti della Corte costituzionale o della dottrina, per almeno uno dei suoi vari profili, possono dirsi alquanto esigue: infatti se tra gli obiettivi della commissione Nordio vi è anche quello di depenalizzare i reati di opinione, non può passare inosservato il fatto che tra essi non siano compresi gli artt. 403 e 404 c.p. [1] Fra le varie critiche mosse nei confronti del legislatore, S. Lariccia, Coscienza e libertà. Profili costituzionali del diritto ecclesiastico italiano, Bologna, Il Mulino, 1989. Non è mancata pure una sorte di autocritica da parte della dottrina se, come afferma G. Marinucci, L’abbandono del codice Rocco: tra rassegnazione e utopia, in Quest. crim., 1981, pag. 308, è possibile riconoscere nella mancanza di armonia delle varie impostazioni dottrinali il fallimento di riforma del Codice Rocco. [2] Il 31 agosto 1944 il Governo Bonomi approva una generica delega per formare un nuovo codice penale e di procedura penale, ma tale testo arriverà ad uno schema preliminare di riforma del solo codice penale, nel 1947. [3] Commissione ministeriale per la riforma del codice penale. Comitato esecutivo, Progetto preliminare del codice penale. Libri secondo e terzo, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1950, pag. 416 e ss. [4] Commissione ministeriale per la riforma del codice penale. Comitato esecutivo, Progetto preliminare del codice penale. Libri secondo e terzo, pag. 59. [5] << Art. 321 ( 19 Cost. ) ( Offesa alla libera professione di una fede religiosa ). Chiunque usa violenza o minaccia per impedire ad altri di professare una fede religiosa, di farne propaganda o di esercitare in pubblico o in privato gli atti di culto, ovvero gli usa violenza o minaccia a cause della fede religiosa professata, della propaganda fattane e degli atti di culto esercitati, è punito con la reclusione fino a sei anni. La stessa pena si applica a chi usa violenza o minaccia per costringere altri a compiere un atto in contrasto con la fede religiosa da lui professata >>. [6] << Art. 322 ( Turbamento di funzioni religiose ). Chiunque impedisce o turba lo svolgimento di funzioni o cermimonie religiose, le quali si compiano mediante l’assistenza di un ministro di culto o in luogo destinato al culto o in luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a cinque anni. Se il fatto è commesso con violenza o minaccia si applica la reclusione da sei mesi a sei anni >>. << Art. 323 ( Offesa alla fede religiosa mediante vilipendio di persone ). Chiunque pubblicamente offende una fede religiosa mediante vilipendio di chi la professa è punito con la reclusione fino a due anni >>. << Art. 324 ( Offesa alla fede religiosa mediante vilipendio di cose ). Chiunque in un luogo destinato al culto o in luogo pubblico o aperto al pubblico offende una fede religiosa, mediante vilipendio di cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano necessariamente destinate all’esercizio del culto, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. La stessa pena si applica a chi commette il fatto in occasione di funzioni religiose compiute in luogo privato da un ministro del culto >>. [7] <<Art. 325 ( Circostanze aggravanti ). Le pene stabilite negli articoli precedenti sono aumentate fino alla metà: 1° se il fatto riguarda la religione cattolica; 2° se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni; 3° se concorrono le circostanze prevedute dall’art. 368, comma 2°; 4° se il fatto è commesso in danno di un mistro di culto; 5° se dal fatto sia derivato grave turbamento dell’ordine pubblico >>. [8] Consiglio federale delle chiese evangeliche d’Italia, Nota concernente le richieste in ordine alla redazione del progetto definitivo del codice penale, in Dir. eccl., 1952, I, pag. 142. [9] << Art. 693 ( Bestemmia ). Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, i Simboli o le Persone venerate nelle religione professate nello Stato è punito con l’ammenda da lire duemila a lire sessantamila. La stessa pena si applica se il fatto è commesso con scritti o disegni. L’ammenda non può essere inferiore a lire cinquemila se il fatto è commesso contro la Divinità, i Simboli o lo Persone venerati nella religione cattolica >>. [10] Consiglio federale delle chiese evangeliche d’Italia, Nota concernente le richieste in ordine alla redazione del progetto definitivo del codice penale, in Dir. eccl., 1952, I, pag. 140. [11] Ibidem. [12] Consiglio federale delle chiese evangeliche d’Italia, Nota concernente le richieste in ordine alla redazione del progetto definitivo del codice penale, in Dir. eccl., 1952, I, pag. 142. [13] Commissione ministeriale per la revisione del Codice penale, Progetto preliminare di modificazione del Codice penale. Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1956, pag 174 e ss. [14] S. Bianconi, Libertà costituzionale e vilipendio della religione dello Stato, in Dir. eccl., 1962, II, pagg. 334-335. [15] << Art. 294 bis – ( Violazione di altri diritti costituzionali ). Chiunque commetta azioni o omissioni che comportinonla violazione dei principi di pari dignità sociale e dell’uguaglianza dei cittadini, senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, e di condizioni sociali e personali, è punito, qualora il fatto non costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni. Se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, nell’esercizio delle loro funzioni, la pena è aumentata >>. [16] << Art. 294 ter – (Vilipendio della collettività per motivi discriminatori inibiti dalla Costituzione ). Chiunque pubblicamente vilipende una collettività per motivi religiosi, etnici o razziali, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni >>. [17] << Art. 406 – ( Delitti contro le altre confessioni religiose ). Chiunque commette uno dei fatti preveduti dagli articoli 402, 403, 404, 405 c.p. contro un’altra confessione religiosa, è punito ai termini dei predetti articoli >>. [18] << Art. 724 – ( Bestemmie e manifestazioni oltraggiose contro i defunti ). Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone venerati una delle religiose professate nello Stato, è punito con l’ammenda da lire 800 a lire 24.000 >>. [19] In Riv. it. dir. e proc. pen., 1969, pag. 303 e ss. [20] Il disegno decade per fine anticipata della legislatura. [21] Dir. eccles., 1969, II, pag. 81. [22] In Dir. eccl., 1972, II, pag. 186 e ss. [23] << Art. 7 – Tutte le confessioni religiose hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte allo Stato; esse godono altresì di pari dignità nell’esercizio del loro ministero. Ad esse la Repubblica riconosce e garantisce il diritto di darsi propri ordinamenti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, nonché la piena indipendenza nello svolgimento della loro missione, escluso ogni intervento da parte dello Stato >>. [24] << Art. 8 – I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze; tale regolamentazione deve rispondere alle specifiche esigenze avanzate dalle singole confessioni, senza comunque ledere la libertà religiosa e l’uguaglianza a tutte garantita, nonché i diritti costituzionali garantiti ai cittadini. Le attività ecclesiastiche in quanto afferenti ad interessi diversi da quelli propriamente spirituali, sono disciplinate dal diritto comune, nel rispetto della indipendenza delle confessioni religiose >>. [25] << Art. 19 – La libertà della fede e della coscienza è inviolabile. Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. La discussione sulle materie religiose è pienamente libera >>. [26] In Giur. cost., 1973, pag. 69. [27] In Dir. eccl., 1973, II, pag. 354 e ss. [28] In conseguenza di ciò il titolo del capo I diventa << Dei delitti contro le confessioni religiose professate nello Stato >>. [29] S. Berlingò, “Libertà di religione” e “diritto” di vilipendio, in Dir. eccl., 1975, pagg. 201. [30] Ibidem. [31] G. Conso, Contro i reati di vilipendio, in Ind. pen., 1970, pagg. 545 e ss. [32] Ibidem. [33] Ibidem. [34] La commissione è composta dai professori Antonio Pagliaro, presidente dei lavori, Franco Bricola, Raffaele Latagliata, Ferrando Mantovani, Tullio Padovani ed Antonio Fiorella. [35] G. Long, Le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Ordinamenti interni e rapporti con lo Stato, Bologna, il Mulino, 1991, pag. 278. [36] L. Musselli, Libertà religiosa e di coscienza, in Dig. disc. pub., vol. IX, Torino, Utet, pag. 231. [37] Il testo può leggersi in M. Pisani, Per un nuovo codice penale, Padova, Cedam, 1993, pag. 102 e ss. [38] Commissione ministeriale nominata dal ministro di grazia e giustizia l’8 febbraio 1988, Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale, in Ind. pen., 1992, pag. 652.
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