UNIVERSITA' CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO - Facoltà di Giurisprudenza - Corso di Laurea in Giurisprudenza

LA TUTELA PENALE DELLA LIBERTA' RELIGIOSA - Tesi di Laurea di LORENZO GRASSANO Matr. 2901015


Conclusioni.

 Il principio di uguaglianza senza distinzione di religione, previsto dalla nostra Carta costituzionale, e il punto 1 del Protocollo addizionale all’ Accordo di Villa Madama, che apporta modificazioni al Concordato lateranense hanno indotto la Consulta ha verificare  la conformità delle norme del Codice Rocco, in materia di tutela del sentimento religioso, al nuovo assetto normativo.

Il Codice del 1930 intese tutelare la religione << in sé e per sé >>, in quanto << bene di civiltà >>, patrimonio morale dell’intera popolazione; non trova spazio una concezione individualistica del fenomeno religioso, in quanto si ritiene che la religione trascenda per sua natura << il patrimonio individuale >> del singolo e che essa sia uno dei molteplici mezzi che uno Stato che si definisce << etico >> utilizza per raggiungere i suoi scopi.

Il legislatore si è dimostrato incapace, con un’inerzia che perdura tutt’oggi, a intervenire normativamente per disciplinare i reati in materia religiosa in modo conforme ai principi della Costituzione; infatti, anziché dar vita ad una riforma organica in materia di tutela del fenomeno religioso, come parte di una sistemazione dell’intera normativa penale, si è proceduto soltanto a depenalizzare il reato di bestemmia, e a promulgare disposizioni normative volte a punire le discriminazioni per motivi di religione, contrastanti con i principi costituzionali di parità dei culti e di uguaglianza dei singoli [1].

In una società italiana che diventa sempre più << pluralista >>, con evidenti flussi immigratori di persone appartenenti a realtà culturali diverse e complesse, a cui corrispondono episodi di razzismo e xenofobia, appare opportuno che il mondo del diritto si mostri fermo e deciso a garantire ad ogni uomo la possibilità di professare il proprio credo religioso e a celebrarne i culti.

Lo Stato moderno deve ritenersi esimato non solo dal porre in essere qualsiasi tipo di valutazione intrinseca dei dogmi di fede cu cui i singoli culti si basano, ma non deve nemmeno indagare sulle motivazioni che spingono il singolo a rapportarsi o meno al fenomeno religioso: ciò che è innanzitutto chiesto allo Stato è quello di riconoscere la religione, e tutto il sistema di credenze che ad esso fa capo, come un fenomeno che ha un pregio << in sé e per sé >>, e in quanto tale meritevole di tutela.

La maggior parte della dottrina [2] auspica l’opportunità di prevedere, in un’ottica di una generale riforma del sistema normativo penale, una totale abolizione della norme del codice Rocco che tutelano in modo specifico il sentimento religioso, facendo rientrare tutti i comportamenti che oggi sono compresi negli artt. 402 e ss. c.p. in altre previsioni normative, in modo che alla bestemmia si possa sostituire il turpiloquio che l’ingiuria e il danneggiamento prenda il posto del vilipendio di persone o cose.

Non si vuole eliminare la protezione del bene giuridico << religione >>, ma di attuarla per mezzo di quelle ipotesi normative più generali, quali per esempio l’ingiuria, la diffamazione o la violazione di domicilio, che << possono raggiungere efficacemente lo scopo, cancellando quella specificità di tutela del sacro e della religione che contrasta irrimediabilmente con i principi dello Stato sociale di diritto >> [3].

Si sostiene che, presentando gli illeciti che arrecano offesa alla religione un impatto sempre meno rilevante nei confronti della società, si potrebbe dar vita ad una diritto penale << laico >>, del tutto estraneo alle esigenze di tutela del fattore religioso in sé considerato, fino ad arrivare a sostenere che la religione in quanto tale non può essere elevata a bene giuridico, e quindi entità meritevole di protezione, in uno Stato laico: è il principio di laicità che impedisce all’ordinamento penale di rapportarsi al fenomeno religioso in quanto, se così non fosse, si finirebbe per attribuire << uno status privilegiato al sentimento religioso, sia pure di ogni tendenza, rispetto a sentimenti diversamente orientati >> [4].

In tal modo si finisce per considerare la religione come una qualsiasi attività culturale il cui esercizio è sì rimesso alla valutazione discrezionale del singolo cittadino, ma che risulta essere del tutto irrilevante per l’ordinamento giuridico.

Come è gia stato sostenuto da qualche autore, uno Stato laico << che non considera la specificità e la centralità antropologica dell’interrogativo su Dio non può che suscitare certe perplessità >> [5], e in questa ottica di pensiero sembra opportuno rifarsi al pensiero espresso dalla Corte costituzionale, per la quale il principio di laicità << implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale >> [6].

Il pensiero espresso dalla Consulta sembra essere diretto a coloro i quali tendono a chiudere l’esperienza religiosa nella intima coscienza del singolo individuo, escludendone qualsiasi rilevanza sociale e che sembrano dimenticarsi come uno Stato veramente << laico >> si ottenga garantendo innanzitutto parità di trattamento in modo indipendente dal credo religioso professato, o non professato.

Lo Stato moderno non può avere un’investitura religiosa, ed è giusto che esso non faccia propri particolare orientamenti religiosi, per imporli alla società, ma non bisogna dimenticare che << tolleranza >> e << pluralismo ideologico >> non implicano la negazione di valori etici << assoluti >>.

Il diritto penale dovrebbe proteggere sempre l’uomo nella totalità della sua persona, fisica e spirituale e chi ritiene opportuno privare il sentimento religioso di qualsiasi tutela penale sottovaluta l’importanza del fatto che il bene giuridico leso è un’entità relativa ai profili più intimi di ogni uomo, indipendentemente dal suo credo in materia religiosa.

Svalutare il ruolo della religione non significa solo trascurare il favor religionis presente nella Costituzione, ma implica << una fictio giuridica macroscopica, inidonea come tale, a cogliere l’essenza di realtà, che la storia dell’Occidente cristiano ci propone come inassimilabili: il credo religioso, con il suo portato di assolutezza metafisica, le concezioni filosofiche politiche, con la loro attitudine ad essere ricondotte dallo Stato di diritto entro l’alveo relativistico della dialettica democratica >> [7].

Non si può pretendere di tutelare la persona umana nella sua integrità, escludendo in modo totale una forma di protezione penale della libertà religiosa, anche sulla base del fatto che il Codice si occupa della persona umana, sotto il profilo strettamente morale, in numerose disposizioni ( quali ad esempio l’ingiuria e la diffamazione ) e non pare accettabile che poi si dimentichi di un profilo così importante come il fenomeno religioso.

Non bisogna dimenticare che è la stessa Carta costituzionale che riconosce il sentimento religioso come un particolare bene-valore, meritevole di tutela, in grado di porsi come fattore rilevante per lo sviluppo e il completamento della personalità umana, e vincolo ideale per gruppi più o meno estesi di persone.

 

Il fatto che la normativa relativa alla tutela penale del fenomeno religioso contenuta nel Capo I, risulti insoddisfacente sia per chi ritenga opportuno una sua abrogazione, sia per chi manifesti una posizione contraria, trova la sua principale causa nella incapacità del legislatore di accogliere le direttive della Carta Costituzionale.

Fare ancora riferimento ad una << Religione dello Stato >> e a << culti ammessi >> significa innanzitutto non voler recepire le ultime pronunce della Consulta la quale, non solo  rilegge tali espressioni alla luce del dettato costituzionale, ma che espressamente sancisce, nella sentenza n. 508 del 2000, i principi di equidistanza e imparzialità che dovrebbero informare l’atteggiamento dello Stato di fronte al fenomeno religioso.

Sino ad oggi il legislatore non ha dato segnali concreti in grado di far ben sperare per una riforma dell’intera disciplina che, in conseguenza delle numerose sentenza della Corte Costituzionale, ha perso sempre più la sua organicità e coerenza.

Del tutto insoddisfacenti sono i vari progetti di riforma presentati alla Camera, i quali sembrano destinati a rimanere su un piano meramente teorico, incapaci di incidere sulla realtà.

Il legislatore si trova innanzi a numerose possibilità di scelta, ma in ogni caso non dovrebbe mai dimenticare i cambiamenti subiti dalla società.

Se da un lato il popolo italiano sta vivendo un fenomeno di secolarizzazione sempre più rilevante, causa anche i mass media e i nuovi strumenti di comunicazione, non si può dimenticare il massiccio fenomeno immigratorio di questi ultimi anni, che ha per protagonista proprio gruppi etnici con radici religiose diverse, e le conseguenze che può avere in relazione ai rapporti tra Stato e fenomeno religioso.

E’ difficile capire quali possano essere le scelte del legislatore nella materia considerata; in ogni caso, sia che vengano accolte le tesi di coloro i quali auspicano la permanenza di una tutela penale del fenomeno religioso, sia nel caso in cui vengano soddisfatte le aspettative di chi ne attende una completa eliminazione, il legislatore dovrà dimostrare di essere in grado da una parte di rispettare l’equilibrio tra i vari diritti sanciti dalla Costituzione, e dall’altra di garantire a tutti i cittadini una protezione ( sia essa penale o meno ) della religione da essi professata, senza alcun tipo di discriminazione.



[1] Ci si riferisce alle nuove fattispecie di reato ex. art. 3 della legge n. 654/1975, nella nuova formulazione introdotta dall’art. 1 del d.l. 26 aprile1993, n. 122 ( convertito, con modificazioni, nella l. 25 giugno 1993, n. 205 ) e all’azione civile contro la discriminazione introdotta dagli artt. 41-42 della legge 6 marzo 1998, n. 40.

[2] Per esempio F. Rimoli, Tutela del sentimento religioso, principio di uguaglianza e laicità dello Stato, in Giur. cost., 1997, pagg. 3347.

[3] A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 1986, pag. 464.

[4] In tal senso, N. Colaianni, La bestemmia ridotta e il diritto penale laico, in Foro it., 1996, pp. 35 e ss.

[5] F. Stella, Il nuovo Concordato tra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus, 1989, pag. 101.

[6] Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203, in Giur. cost., 1989, pp. 890 e ss.

[7] M. Jasonni, Illegittimità costituzionale del vilipendio e tutela penale del sentimento religioso nelle aporie della più recente giurisprudenza, in Quad. dir. pol. eccl., 1998,

III, pag. 991.

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